AOI

L’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI) chiede al Governo la revisione del decreto del 7 aprile scorso di chiusura dei porti alle navi umanitarie straniere L’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19, che ha colpito duramente per prime Cina e Italia, ha oggi una dimensione globale, aggravando pesantemente le condizioni già critiche in molte aree di crisi umanitarie, sociali, economiche, ambientali. È il caso di Paesi e regioni nel mondo che hanno conflitti armati in corso come la Libia, dove anni di guerra civile hanno distrutto le strutture sanitarie, rendendole insufficienti ad offrire a chi ci vive servizi minimi ed ordinari.  L’esplosione del COVID-19, che al momento sembra agli inizi in Libia, in una simile situazione prefigura una catastrofe dalle proporzioni difficili da prevedere al momento. La pandemia dovuta al COVID- 19 non ha posto fine alla fuga dalla Libia verso l’Europa dei tanti profughi intrappolati da tempo nel Paese e che hanno continuato a tentare disperatamente di raggiungere le coste italiane, spagnole e in genere dell’Europa.  Nel corso degli ultimi 15 giorni, almeno 3 piccole imbarcazioni partite dalla sponda sud del Mediterraneo sono riuscite ad arrivare con il loro carico umano in diverse località italiane. Parallelamente, la nave di soccorso umanitaria in mare, Alan Kurdi, ha salvato 145 naufraghi alla deriva nel Mediterraneo e ha chiesto all’Italia l’indicazione di un porto sicuro per lo sbarco delle persone salvate. Il decreto adottato dal  Governo il  7 aprile scorso, a firma dei Ministri di Infrastrutture, Esteri e Cooperazione Internazionale, Interni e Salute, stabilisce che per l’intera durata dell’emergenza COVID-19 l’Italia non assicuri più un porto sicuro per salvataggi effettuati fuori della nostra area SAR  da navi battenti bandiere straniere: il  rischio adesso è la riproposizione di drammi umani fra i naufraghi che il Governo era riuscito a superare con azioni giuste ed efficaci nei mesi scorsi. Siamo consapevoli della grave emergenza sanitaria che sta attraversando l’Italia per la diffusione del COVID-19 e di quanto tutto ciò pesi sulle strutture e le comunità.  Proprio perché in tempi di crisi una società solidale è chiamata a garantire l’accesso alla sicurezza per tutti, riteniamo che il nostro Paese non debba rinunciare a salvare la vita a persone in pericolo nel mare Mediterraneo. Tutti i Paesi Ue vivono oggi la stessa emergenza sanitaria per la quale il decreto del Governo ritiene che i nostri porti non siano più sicuri per gli sbarchi per tutta la durata della pandemia. Siamo preoccupati per il rischio della permanenza in mare delle navi con naufraghi, dato il blocco agli sbarchi decretato lo scorso 7 aprile: in aggiunta alle condizioni comunque critiche di chi ha affrontato i devastanti viaggi della speranza, nel malaugurato caso che ci fossero contagiati a bordo, si metterebbe a rischio la loro sopravvivenza e quella di tutte le persone presenti sulla nave. Riteniamo che il nostro Paese abbia le forze per assicurare la tutela della salute della popolazione anche garantendo l’accoglienza in sicurezza delle vite salvate nel Mediterraneo. L’applicazione rigorosa delle linee guida del Ministero della Salute e quella recente della Commissione Europea dell’8 aprile sulla protezione dei marinai, passeggeri e altre persone ecc. (Communication from the Commission: Guidelines on protection of health, repatriation and travel arrangements for seafarers, passengers and other persons on board ships.), è a nostro parere misura sufficiente per garantire la sicurezza sanitaria per quanti necessitano di sbarco e per le popolazioni delle zone dove potranno essere accolte. Come organizzazioni solidali e umanitarie di AOI chiediamo al Governo di rivedere il decreto appena emesso il 7 aprile scorso, ripristinando la possibilità di accogliere sui nostri porti i naufraghi, a prescindere dalla bandiera nazionale della nave che ha operato il loro salvataggio.