Ad una prima analisi del testo sulla proroga delle missioni internazionali, l’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI) esprime profonda preoccupazione. La sensazione è che il Governo Italiano, qualsiasi sia la sua composizione, vada avanti perseguendo le solite direttrici strategiche, in alcuni casi anche aumentando il suo impegno e in altri casi senza tenere sufficientemente conto degli impatti che tali strategie hanno prodotto. Le nostre preoccupazioni maggiori si concentrano nel quadrante del Mediterraneo allargato dove le missioni navali, quelle in Libia e quelle del Sahel sembrano rispondere in buona parte a obiettivi di contenimento dei flussi, controllo delle frontiere e stabilizzazione. L’Italia punta a giocare un ruolo militare sempre maggiore in quell’area cruciale. Pur sapendo che l’equilibrio tra sicurezza e sviluppo sia complicato da trovare, c’è bisogno di un approccio nazionale ed europeo che abbia al centro la pace e la protezione capace di dare maggior risalto ai veri fattori di conflitto nella regione come la governance e l’amministrazione opaca della cosa pubblica, le disuguaglianze persistenti e la violazione dei diritti umani. Questo vale per i paesi del Sahel, la cui missione (oltre quella bilaterale col Niger) di riferimento – Takuba- ha visto triplicare i fondi destinati dal 2020 (15,6) ai 49 di quest’anno, ma anche e soprattutto per la Libia. Pur essendo oramai evidente che l’impianto messo in piedi dall’Italia dalla firma dell’Accordo Italia-Libia nel 2017 dal governo a guida Gentiloni – favorendo l’istituzione di una zona SaR libica, sostenendo la formazione e fornendo mezzi alla cosiddetta Guardia Costiera libica (GCL) – stia perpetuando sistematici abusi e violazioni dei diritti umani, stiamo continuando a perseguire le medesime politiche, finanziando sostanzialmente le medesime missioni, aumentando nel caso del supporto alla GCL anche di 500 mila euro i fondi a disposizione. Ripetiamo da anni che la Libia non è un luogo sicuro, che la soluzione individuata è inaccettabile e che quell’Accordo vada sospeso. Chiediamo inoltre che la missione legata al sostegno alla Guardia Costiera non venga rinnovata e siano cancellate le parti delle altre missioni che prevedono sostegno e collaborazione con la guardia costiera libica e la marina militare libica. Nel Mar Mediterraneo quest’anno andiamo a spendere 150 milioni, ma nessuna missione ha nei propri termini di riferimento il salvataggio e il soccorso delle persone in mare. Significativi aumenti, + 17 e + 15 milioni, ci sono stati anche nelle missioni navali nel mediterraneo Mare Sicuro e Irini. Sarebbe importante capire il motivo di questi aumenti e il Parlamento un ruolo su questo lo può giocare. Rispetto alle missioni umanitarie, a cui quest’anno sono stati dedicati 127 milioni, la nostra richiesta principale è che non vengano destinati interamente ad agenzie multilaterali ma che vengano coinvolte fin da subito le organizzazioni e le rappresentanze della società civile, con particolare attenzione al caso dell’Afghanistan, a cui sono stati dedicati 21 milioni, dove si sta vivendo una delicatissima fase di transizione. Il sistema di rapporti costruiti con le comunità locali e la loro conoscenza della realtà locale sono strategiche e da valorizzare. È necessario inoltre uno stanziamento di fondi ad hoc per il peacebuilding civile, anche per dare piena attuazione alla vigente legge 125/2014 sulla cooperazione, che menziona tra gli obiettivi fondamentali “prevenire i conflitti, sostenere i processi di pacificazione, di riconciliazione, di stabilizzazione post-conflitto, di consolidamento e rafforzamento delle istituzioni democratiche“. Lo scenario afghano e quello del Sahel dimostrano che un approccio alle crisi basato quasi esclusivamente sulla dimensione militare, con attori statali privi di legittimità e senza meccanismi di accountability – nonostante i fondi inviati a tal fine – sono fallimentari. Il coinvolgimento della società civile nei processi di pace, includendo donne e giovani come chiedono le Risoluzioni ONU 1325 e 2250 (Donne-Pace-Sicurezza e Giovani-Pace-Sicurezza) necessita di volontà politica e fondi dedicati da parte di paesi come l’Italia. AOI avanzerà le sue proposte da discutere nelle commissioni competenti e nelle aule parlamentari. Ci auguriamo che il nostro appello non venga ignorato